di Sauro Tronconi
L’architettura di Isaac Newton partiva da un’osservazione tangibile, sperimentabile direttamente e le sue equazioni riguardavano posizioni e velocità di oggetti che sono noti direttamente ad ognuno di noi, da una mela al sole in cielo.
Da queste osservazioni ad oggi sembra siano passati millenni: per arrivare alla legge di gravitazione universale ci sono voluti decine di migliaia di anni di evoluzione, poi per osservare i buchi neri, per la relatività, la meccanica quantistica e la teoria delle stringhe poco meno di due secoli.
Newton parte da osservazioni tangibili, ma già nel 1864 James Clerk Maxwell introduce un livello superiore di osservazione più intangibile, infatti i campi elettrici o magnetici non sono tangibili come un sasso che cade. Inizia così l’accelerazione scientifica del novecento, basata sempre di più su caratteristiche della realtà “inaccessibili” ai sensi, che ci costringono a costruire macchine e a evolvere equazioni di cui apparentemente non possiamo fare alcuna esperienza diretta. Spazio e tempo assieme forniscono lo sfondo flessibile su cui Einstein sviluppa la teoria della relatività generale, che non significa semplicemente che il tempo è relativo come alcuni sostengono. Il tempo è preciso, semmai sono le nostre percezioni in relazione allo spaziotempo ad essere relative.
A metà degli anni venti, rincariamo la dose di inaccessibilità con la meccanica quantistica. Erwin Schrӧdingher ci convince del fatto che la realtà è sostenuta da onde di probabilità e che dobbiamo usare altri parametri per misurarla; tutto pare vacillare e scomparire, mentre invece è semplicemente un modo diverso di descrivere ciò che è. Tutto questo grazie alle straordinarie capacità della nostra mente che indipendentemente dagli strumenti di misurazione elabora teorie. Tanto che, andando a ritroso di migliaia di anni, ci pare che le stesse intuizioni “quantistiche” siano già avvenute, con modalità descrittive diverse, più spirituali, più sacrali, ma certamente non meno efficaci: “Rupam sunjata, sunjateva rupam“, in sanscrito significa: la forma è vuoto, il vuoto è forma, il che lascia presupporre molto…ma in quell’epoca, diverse migliaia di anni fa, portò alla dottrina della “vacuità” buddhista e non alle esplorazioni spaziali.
L’accelerazione scientifica in questo secolo pare aver creato un divario quasi insuperabile tra l’esperienza diretta nella nostra quotidianità vissuta e la realtà scientifica. La conseguenza di tale divario è che molte persone faticano a sperimentare nella vita queste grandi comprensioni.
Per questo da anni, in diversi seminari, cerco di creare la possibilità di comprendere e sperimentare senza altri strumenti che la mente e la coscienza ciò che ci pare “inaccessibile” ad una esperienza diretta.
Afferrare la relazione spazio-tempo attraverso la teoria di Einstein è interessante, ma sperimentare praticamente come tutti noi siamo davvero in relazione con l’agire dello spazio e del tempo è un’esperienza che ci apre la visione. Anche la percezione della “vacuità” quantistica rende straordinariamente molto più solida la percezione della nostra realtà, facendola diventare una opportunità di senso e di scelta consapevole.
Riprendere antiche tecniche di attenzione e di consapevolezza, frutto di ricerche millenarie, e ampliarle con le conoscenze odierne ci può dare opportunità mai sperimentate prima.
Nei seminari del metodo Self “Buchi neri ed universi paralleli” e “Tra fisica e coscienza” è possibile sperimentare, praticamente e senza ausilio di strumenti, l’incredibile aderenza della nostra coscienza alle leggi ed alle equazioni della fisica contemporanea. Se accetteremo le provocazioni della sperimentazione diretta, scopriremo che i viaggi nel tempo sono possibili, che il tempo a volte è un illusione ed altre ci divora, scopriremo come si può essere in due luoghi contemporaneamente e come si può superare la velocità della luce senza muoversi di un millimetro. Serve solo curiosità, apertura mentale e scegliere di partire per il viaggio.